Il “come educare” è diventato nel corso degli anni, uno degli elementi di maggiore indagine nel panorama pedagogico. Tale processo, che vede protagonista non solo l’educazione e la formazione dell’individuo, oggi più che mai non si attiene ad una serie di pratiche attuabili in maniera oggettiva.
È questo il motivo per il quale sempre più spesso sentiamo e abbiamo a che fare con i termini inclusione e didattica inclusiva. In questo articolo avremo modo di approfondire:
Quando parliamo di intervento educativo, dobbiamo essere consapevoli che questo processo intenzionale deve svolgersi mediante dei principi cardine che possono essere utilizzati come una sorta di bussola per gli addetti ai lavori: docenti, pedagogisti, formatori, tutor. Tra questi, uno in particolare si distingue: quello dell’inclusione.
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Se ne volessimo fornire un’interpretazione dal punto di vista educativo-didattico, l’inclusione ci permette di leggere tutte quelle condizioni oggettive che possono “frenare” le occasioni educative dell’individuo (macroarea dei Bisogni Educativi Speciali, BES) e tutte quelle situazioni che possono aumentare il rischio di essere esclusi.
L’inclusione, dunque, non fa riferimento a degli “standard di adeguatezza” (Booth – Ainscow,2014) ma prevede che l’alunno, partecipi in maniera attiva alla propria vita e alla propria formazione. È importante sottolineare che quando si parla d’inclusione non si fa riferimento a bambini, ragazzi, studenti, in stato di disagio - non viene richiesto ad una maggioranza di integrare una minoranza - viene predisposto il riconoscimento alla diversità.
Per evitare fraintendimenti è opportuno inoltre compiere una distinzione tra inclusione e integrazione. La prima è un processo, si riferisce alla dimensione sociale, educativa e politica, ponendo l’attenzione sulle potenzialità dell’alunno, essa interviene sul contesto educativo, sullo sfondo formativo e poi si concentra sullo studente.
L’integrazione ha uno sguardo specifico, è una situazione, guarda al singolo, interviene sul soggetto e sulla sua “diversità”. Questo discorso ci permette di introdurre due concetti fondamentali: individualizzazione e personalizzazione.
Dove risiede il potenziale di sviluppo di un alunno? Nella diversità o nella differenza? In entrambe. Se il potenziale differente si mostra e si nutre di una linea di sviluppo comune, il potenziale diverso ricorre al suo essere “fuori dall’ordinario”.
Da differenza e diversità discendono due concetti pedagogici fondamentali: individualizzazione e personalizzazione. A proposito di ciò la legge 170/2010 (di cui abbiamo parlato nell’articolo sui DSA) dispone che le istituzioni scolastiche garantiscano:
“l’uso di una didattica individualizzata e personalizzata, con forme efficaci e flessibili di lavoro scolastico che tengano conto anche di caratteristiche peculiari del soggetto, adottando una metodologia e una strategia educativa adeguate”.
Ma cosa vuol dire? Va chiarito sin da subito che i termini individualizzazione e personalizzazione non sono sinonimi e che entrambi risultano essere - come sottolineato anche nella legge 170/2010 – strumento di garanzia per raggiungimento di un buon risultato scolastico. Diventano dunque centrali le metodologie didattiche, gli strumenti compensativi e le misure dispensative, soprattutto per il successo scolastico di alunni e studenti con Disturbi Specifici dell'Apprendimento (DSA).
Con il termine individualizzazione si fa riferimento al processo attraverso il quale l’insegnante struttura uno specifico curriculo, che ha la funzione di risposta specifica alle esigenze di un singolo studente.
Per personalizzazione si intende il processo mediante il quale l’allievo fa propria la proposta formativa rivolta a tutti, interpretandola secondo i propri quadri di riferimento. Il docente propone un percorso standard, valido per tutti gli studenti, ma al suo interno progetta ulteriori percorsi alternativi ai quali può apportare modificazioni e differenziazioni didattiche, in relazione alle peculiarità degli alunni.
Questi due concetti ci introducono al discorso che ruota intorno a quel “modus educandi” che nasce per garantire la comprensione del bisogno educativo del singolo e che permette di mettere in atto soluzioni funzionali, superando rigidità e differenze di ogni sorta: la didattica inclusiva.
Il significato del termine didattica inclusiva va ricercato nella sfera educativa, sociale e politica partendo dall’integrazione fino ad arrivare ad una reale inclusione degli studenti, in un contesto che li renda partecipi e attivi costruttori della propria formazione.
Alcuni alunni che necessitano di una didattica votata all’inclusione sono: alunni BES, DSA, alunni con spettro autistico, alunni con disabilità.
L’obiettivo della didattica inclusiva è quello di creare condizioni di apprendimento ottimali al fine di risolvere difficoltà e valorizzare le differenze. Ogni alunno, in questo modo, sarà messo nelle condizioni di scoprire, valorizzare ed esprimere al massimo il proprio potenziale. Di seguito vengono segnalati, per facilitare la comprensione, alcuni obiettivi principali di questa metodologia:
- celebrare e valorizzare le differenze tra gli studenti;
- differenziare, individualizzare e personalizzare le attività didattiche;
- promuovere nell’alunno autonomia, consapevolezza e responsabilità.
Oggi sono molte le strategie che si prestano all’attuazione di una didattica inclusiva e che incoraggiano nuove modalità di apprendimento, ne segnaliamo alcune particolarmente interessanti che approfondiremo nel paragrafo successivo:
- tutoring
- cooperative learning
- uso di software didattici per la costruzione di mappe concettuali (come Algor Education)
Il tutorato è una prestazione a favore di studenti e alunni che prevede interventi a carattere didattico utili a superare eventuali “ostacoli” per una proficua frequenza scolastica e un’attiva partecipazione a tutte le attività del panorama formativo.

Esso si propone una serie di obiettivi tra i quali: assistere l’allievo lungo l’intero percorso di studi, incentivare la sua partecipazione al processo formativo, rimuovere eventuali freni alla formazione mediante interventi calibrati sui bisogni, attitudini e esigenze di ogni singolo alunno/studente.
Il fine è, non solo il contrasto al crescente fenomeno dell’abbandono scolastico ma riuscire a strutturare, tenendo conto delle caratteristiche di ognuno, attività didattiche integrative e di recupero che possano colmare eventuali lacune garantendo così i requisiti necessari per un percorso adeguato.
Com’è strutturato un percorso di tutorato? Di norma il tutoring è un servizio svolto da soggetti esperti - docenti, studenti senior, o studenti del proprio gruppo classe, definiti tutor - a favore di alunni, studenti con abilità diverse, chiamati tutee. Tale esperienza contribuisce alla formazione culturale, sociale e professionale dello studente accompagnandolo nei diversi momenti del processo educativo.
Il tutorato assume la peculiarità della relazione educativa, tra i suoi obiettivi:
- favorire il processo di apprendimento;
- consolidamento delle competenze;
- consolidamento dell’autostima.
Lo scopo è quello di stimolare il processo di responsabilizzazione e la progressiva acquisizione di autonomia. Il tutor cerca di mettere l’alunno nella condizione di fare esperienza, di apprendere, prevedendo anche dei momenti di errore, mantenendo il ruolo di sostegno, supporto e accompagnamento, senza mai sostituirsi al tutee o al referente del tutorato.
La mia personale esperienza mi ha permesso di comprendere che l’impegno dei tutor in termini di supporto, non è paragonabile a ciò che ricevono durante tutto il loro cammino. La prerogativa principale di questo meraviglioso processo di crescita è la socialità. I tutor devono costantemente reinventarsi per far sentire agli alunni la loro presenza e il loro supporto.
Di seguito, basandomi sul lavoro svolto come tutor negli anni, riassumerei così i vantaggi del percorso di tutorato, sia per i tutor che per i tutee con diverse abilità:
- ricevere aiuto da figure che il tutee ritiene “più brave” e competenti come docenti, alunni del gruppo classe, alunni senior, permette all’alunno di percepire le situazioni in cui è coinvolto, le ritiene accessibili perché mediate da una figura di cui si fida, ciò accresce la sua autostima e lo spinge a fare sempre meglio
- il tutor sviluppa una nuova dimensione di competenza personale e di volta in volta attua le cose che ha appreso durante la sua esperienza
Insieme viene plasmata la relazione educativa che è sempre in divenire.
Un’ulteriore strategia a supporto della didattica inclusiva oggi risulta essere il cooperative learning. L’attenzione viene spostata “dall’io al noi”, il singolo non può raggiungere gli obiettivi previsti senza il gruppo e viceversa, vengono condivisi risorse e spazi di apprendimento, i ruoli sono interconnessi. La partecipazione attiva di ognuno favorisce il successo del gruppo e si instaura una collaborazione a favore del compagno in difficoltà per aiutarlo.
Attraverso il cooperative learning lo studente sviluppa delle abilità sociali come: apprendere comportamenti da adottare nei rapporti con gli altri (es, ascolto attivo e passivo, volume basso della voce). Abilmente guidato riesce a sviluppare abilità per svolgere i compiti in modo efficiente, affrontare conflitti, prendere decisioni, risolvere problemi. Sarà in grado di mettere in atto un’attenta riflessione su come si è appreso insieme, come si è interagito, chiedendosi: “Cosa abbiamo fatto di positivo?”
Tutto ciò può essere utile alla didattica inclusiva e ad un contesto classe in cui sono presenti di BES e DSA?
I sostenitori del cooperative learning ritengono che questo metodo sia fondamentale per gli alunni con bisogni educativi speciali, incidendo in maniera estremamente positiva sul rendimento scolastico a favorendone l’inclusione e l’integrazione.
Questa metodologia rafforza la motivazione, andando incontro a coloro che hanno necessità particolari, inoltre, l’apprendimento cooperativo può migliorare e rinforzare significativamente le relazioni interpersonali fra gli studenti. Quando la classe assume un atteggiamento cooperativo e non competitivo, gli studenti BES o con DSA possono contribuire al successo del gruppo ed è più probabile che vengano da esso accettati.
Il “mettere insieme delle diversità” (Vygotskji) offre a tutti la possibilità di arricchirsi.
partendo da questo punto di vista molti autori ritengono che sia importante rispettare il criterio di eterogeneità del gruppo di cooperative learning.
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Oggi la scuola ha dovuto fare i conti con la grande difficoltà degli alunni DSA di leggere, riassumere e memorizzare testi di varie lunghezze. Ecco perché sono state introdotte strategie compensative che possono rendere il percorso di apprendimento degli alunni meno complesso.
Lo strumento della mappa concettuale si rivela da subito fondamentale. Il ragazzo DSA riscontra una grande difficoltà nel cogliere le informazioni in maniera sequenziale e nello stabilire collegamenti tra concetti. Individuare il focus dell’argomento attraverso la costruzione di una mappa in completa autonomia è fondamentale.
Tra le tante web app di costruzione di mappe multimediali, Algor Education offre allo studente la possibilità di creare la propria mappa sia a scuola che a casa, celebrando così una forma di didattica inclusiva a cui abbiamo già accennato precedentemente, il cooperative learning. I due elementi se fusi insieme, metodologia da un lato e strumento dall’altro possono, applicata ad un gruppo classe, facilitare gli step dell’apprendimento di un allievo DSA e non solo.
Algor è stata ideata per rivolgersi a tutti coloro che hanno la necessità di organizzare, memorizzare ed apprendere concetti come docenti o tutor. Strumento nato per compensare e dispensare, con la sua funzione “crea in automatico” l’alunno può inserire un testo da diverse fonti per ottenere una mappa concettuale che sintetizzi o suggerisca delle idee dal testo di partenza.
Articolo di Mariana Ciaglia, pedagogista.