L’ADHD sembra colpire sempre più persone, sia in età infantile che in età adulta. Il disturbo da deficit dell’attenzione/iperattività si sta prendendo una grande fetta del dibattito, con diverse posizioni sugli aumenti di diagnosi e sul loro rapporto con il nuovo modo di vivere la società. Andando esso affrontato propriamente, l’ADHD crea molta preoccupazione soprattutto nei genitori di figli che sono o potrebbero esserne affetti.
Se da un lato il tanto rumore ha portato ad una maggiore conoscenza del fenomeno, però, dall’altro ha anche creato molta confusione – con la creazione di veri e propri luoghi comuni che nocciono ai bambini in prima persona. Proprio per questo è necessario fare un po’ di chiarezza, capendo cos’è l’ADHD e come può essere affrontato. Ciò è importante per tutte le categorie: chi ne soffre potrà prendere consapevolezza dei propri mezzi e vivere meno sensi di colpa ingiustificati; i genitori e gli insegnanti potranno offrire un’esperienza educativa personalizzata e adatta alle specificità dei minori.
In questo articolo vedremo:

L’ADHD, ovvero disturbo da deficit dell’attenzione/iperattività, è “caratterizzato da una durata scarsa o breve dell’attenzione e/o da vivacità e impulsività eccessive […] che interferiscono con le funzionalità o lo sviluppo” (Manuali MSD); esso dunque può manifestarsi in diverse forme. Nello specifico, i sintomi possono riguardare:
- Il deficit dell’attenzione;
- Vivacità e impulsività;
- Un mix di ambo gli elementi.
Nonostante i suoi sintomi somiglino ad un disturbo comportamentale, esso è un disturbo neuroevolutivo – che rientra dunque anche nell’omologo gruppo di BES. In parole più semplici, l’ADHD appartiene allo stesso gruppo di altri disturbi che si manifestano sin dall’infanzia, come le disabilità intellettive, i disturbi da tic, i DSA e i disturbi dello spettro autistico. Proprio perché è caratterizzato da una conformazione neurologica, l’ADHD viene definito come disturbo pediatrico; come potrete leggere di seguito, però, esso può ricevere una prima diagnosi anche in età adulta.

Il disturbo da deficit dell’attenzione e/o iperattività si manifesta prima dei sette anni tramite sintomi ben precisi che vanno osservati per un periodo di tempo minimo di sei mesi continuativi. Per menzionarne i principali sintomi individuati dal DSM (“Diagnostic and Statistic Manual of Mental Disorders”), un bambino potrebbe soffrire di ADHD se:
- Fatica a iniziare attività di concentrazione;
- Non ha capacità di ascolto;
- È molto vivace;
- Perde facilmente la concentrazione;
- Non ha pazienza;
- Interrompe le domande, rispondendo non appena ne capisce il senso;
- È impulsivo e tende ad agire senza pensare;
- Tende a perdere le cose o a dimenticarsi degli impegni;
- Non riesce a pianificare lo studio;
- Cambia attività continuamente, lasciando in sospeso quelle precedenti.
In tempi recenti alcuni studi hanno dimostrato che le diagnosi di ADHD sono aumentate. Secondo la ricerca condotta presso il Centro Kaiser Permanente, dal 2001 al 2010 i bambini che ne soffrono sono aumentati del 24%. Causa un passaparola particolarmente serrato e nocivo, questi importanti dati sono stati interpretati nei modi più disparati e distorti.
In particolare, in molti hanno confuso l’aumento di diagnosi con l’aumento di casi, formando congetture sull’influenza dei nuovi mezzi tecnologici sull’insorgere dell’ADHD. Anche semplicemente seguendo gli studiosi americani, però, si comprende che le nuove diagnosi rispecchiano più un cambiamento culturale che un’espansione effettiva del disturbo in sé.
Molti bambini e bambine con ADHD ricevono oggi una diagnosi che in tempi diversi non avrebbero mai ottenuto. Il sistema scolastico odierno, più rigido, richiede comportamenti più inquadrati e abilità di apprendimento che spesso non tengono conto delle specificità degli studenti. I comportamenti che escono dal sistema vengono così riconosciuti e inquadrati più facilmente, mentre in passato venivano semplicemente interpretati come tratti caratteriali tipici dei bambini. Il maschile in questo caso non è casuale, perché l’ADHD assume caratteristiche specifiche riguardo al genere, che a loro volta si sono prestate a distorsioni.

I dati riguardanti l’ADHD sono particolarmente dibattuti anche all’interno della comunità scientifica; nonostante tutte le diatribe, sembrerebbe che tra l’8-11% della popolazione scolastica ne soffra. All’interno di questa casistica, tre diagnosi su quattro riguardano il genere maschile, portando molti a credere che il genere femmine possa soffrirne solo marginalmente o sporadicamente.
Le ricerche più recenti, però, sembrerebbero smentire questo luogo comune, spesso appoggiato anche dagli esperti. In particolare, sembra che i sintomi nelle donne si manifestino in modo diverso e meno forte dal punto di vista sociale, finendo per essere sottovalutati. Per quanto riguarda le bambine, un occhio di riguardo va riservato ai disturbi dell’attenzione più che all’iperattività.
Il problema della mancata diagnosi non riguarda solamente la valorizzazione del bambino o della bambina, ma può influenzarne l’intero percorso formativo e anche la vita adulta. Negli ultimissimi anni molti esperti della salute mentale hanno sottolineato la necessità, dunque, di modificare la concezione di ADHD come disturbo infantile, in modo da dare la giusta centralità anche agli adulti che ne soffrono.
Come ha riportato il dr. Hallowell, una giusta diagnosi può “salvare una vita” anche se applicata in tarda età. La sfida della ri-definizione rappresenta un obiettivo importante, che potrebbe migliorare la vita non solo di moltissime donne ma anche di molti uomini che per motivi socio-culturali non hanno avuto riconosciuto l’ADHD in giovane età.
Sebbene i sintomi dell’ADHD possano essere riconosciuti anche autonomamente, l’unica diagnosi attendibile è quella ottenuta da un professionista. Sia che pensiate di soffrirne in prima persona sia che ne riconosciate le manifestazioni nei vostri bimbi, un consulto specialistico vi eviterà di cadere nel vortice tossico delle auto-diagnosi.
Le attenzioni da adottare saranno indubbiamente maggiori nel caso in cui tale intervento fosse indirizzato ad un bambino. Il compito dell’educatore è capire al meglio come andare incontro alle sue particolarità e come valorizzarlo. In quanto figure di riferimento, per quanto difficile, dovrete mettere da parte pregiudizi e atteggiamenti negativi, adottando un nuovo set di idee.
Aggressività e sbeffeggiamento non faranno che peggiorare le probabili frustrazioni legate alle difficoltà nell’apprendimento. Sarà fondamentale che cerchiate di informarvi al meglio, riorganizzando le idee e sopperendo alle difficoltà del bambino tramite attività organizzate e giornate con una routine quanto più possibile prestabilita.
I bambini con ADHD richiedono attenzioni specifiche rispetto al loro disturbo, ma non per questo vanno limitati o considerati solo in funzione di esso. Ricordatevi sempre che una persona con disturbo da deficit dell’attenzione e/o iperattività, adulta o meno, ha una propria personalità e può vivere una vita completa grazie alle giuste terapie indicate dagli esperti.
Articolo di Nina Komadina.