Nel mondo contemporaneo, sempre più improntato all’inclusione, il tema del razzismo è sempre più studiato e rilevante. Al giorno d’oggi moltissimi attivisti da ogni parte del mondo si battono per un mondo equo e, dietro a questa lotta, si nascondono moltissimi aspetti che toccano ogni ambito della vita umana. Capire le varie dimensioni tramite cui si è sviluppato il razzismo può essere un modo per alzare il livello di consapevolezza sociale riguardo a questa tematica, aiutando ad eradicare un male decisamente troppo diffuso anche al giorno d’oggi.
I possibili collegamenti al tema del razzismo, analizzati di seguito, potrebbero essere:
Visto che questa tesina di terza media si concentrerà sul fenomeno del razzismo partendo da colonialismo e schiavismo, è interessante avere un’idea di base della popolazione degli Stati Uniti. Essi hanno oltre 332 milioni di abitanti, di cui circa il 15% è identificabile come afroamericano. La percentuale di persone afrodiscendenti aumenta a dismisura negli Stati del sud-est, con picchi in Louisiana, Mississippi e Georgia: questo dato non è casuale e affonda le sue ragioni in motivi sia storici che economici.

Storicamente, come vedremo nel corso della tesina, le persone afrodiscendenti sono arrivate in grandissimi numeri nel continente Americano come schiave dei grandi proprietari terrieri colonialisti europei – soprattutto britannici, spagnoli, francesi e portoghesi. Il clima del sud degli Stati Uniti è temperato e offre enormi vantaggi per un’agricoltura di tipo estensivo, che venne sin dagli albori ad oggi sfruttata soprattutto per il cotone, il tabacco e la canna da zucchero. È per questo che in queste zone venne ampiamente sfruttata la manodopera degli schiavi, trasportati su immense navi mercantili per essere sfruttati nelle piantagioni.
Dal punto di vista storico della comunità mondiale anglofona, questa tesina originale vuole sottolineare che il fenomeno razzista dello schiavismo è legato a doppia mandata all’impero coloniale britannico, che venne trasformato nel 1931 in Commonwealth. Prima di diventare un’organizzazione di Stati indipendenti, l’insieme di questi Stati e alcuni altri era direttamente controllato dalla corona britannica. Sin dall’inizio delle grandi navigazioni a cavallo tra XV e XVI secolo, infatti, Londra seppe sfruttare la superiorità navale per sottomettere moltissimi popoli, sfruttandoli economicamente e non solo.
Questo sistema di sottomissione imperiale si basò all’epoca anche su alcune convinzioni razziste delle élite della Gran Bretagna, da cui nacque un intero filone letterario. Il suo massimo esponente fu probabilmente J. R. Kipling, che nelle sue famosissime opere (tra cui “Il libro della giungla” del 1894) sostenne un obbligo morale delle popolazioni bianche nel civilizzare popoli ritenuti “inferiori”. Queste teorie, oggi riconosciute apertamente come razziste, vennero ulteriormente esplicitate ne “Il fardello dell’uomo bianco” (1899), libro basato sull’idea che gli europei fossero intrinsecamente superiori alle altre popolazioni e quindi potessero giustamente imporsi sugli altri popoli.
Dal punto di vista pragmatico, l’enorme organizzazione economica e logistica dello schiavismo venne sostenuta dalla tecnologia delle navi alimentate a carbone. La loro invenzione consentì di abbattere i tempi di precorrimento via mare grazie all’utilizzo di enormi caldaie che venivano alimentate con i litantraci, una tipologia di minerale che rientra nei carboni fossili. In questi sistemi veniva svolto un lavoro molto pesante dai “carbonai” e dai “fuochisti”, anch’essi spesso sfruttati e in condizioni di vita precarie. In altre parole, il razzismo teorico non fu l’unico motore propulsore del sistema di schiavitù: senza le navi a carbone probabilmente i numeri di cui parliamo oggi sarebbero stati molto meno significativi.
Il sistema della schiavitù influì significativamente non solo sulla vita di milioni di persone, ma anche su uno degli eventi più importanti della storia americana: la guerra di secessione (1861-1865). Detta anche guerra civile, essa vide contrapposti:
- Il Nord, con un tenore di vita alto e un’industria basata sui commerci e le grandi industrie;
- Il Sud, fatto di una società agraria latifondista che faceva un ampio uso di manodopera schiavista per coltivare cotone, tabacco, canne da zucchero e non solo.

Il Nord avanzato era tendenzialmente contrario alla schiavitù sudista sia per motivi antirazzisti che – soprattutto – perché garantiva al sud agrario di avere guadagni altissimi, creando una classe di latifondisti estremamente influenti. Le tensioni aumentarono con l’elezione a presidente dell’antischiavista Lincoln (1861), a cui gli Stati del sud risposero con un tentativo di secessione dal resto del Paese.
La Guerra di secessione si concluse con la vittoria del Nord che portò al mantenimento dell’unità degli Stati Uniti e all’abolizione della schiavitù per Costituzione, liberando così immediatamente centinaia di migliaia di persone. Nonostante ciò, due elementi contribuirono a mantenere vivo il razzismo nel Paese:
- Da un lato proseguirono linciaggi e l’esclusione sociale delle persone afrodiscendenti;
- Dall’altro i lavori forzati continuarono ad essere legali negli USA nel caso dei detenuti – come è d’altronde anche tutt’oggi. Così moltissime persone uscirono dalla schiavitù solo per essere quasi immediatamente incarcerate con dei pretesti superficiali, facendo in modo che continuassero a lavorare gratuitamente nelle piantagioni grazie a questo cavillo legale.
La minoranza afroamericana che venne impiantata negli Stati Uniti per essere sfruttata riuscì, nonostante le situazioni di vita tremende, a sviluppare un genere musicale che tutt’oggi si pone alle basi di moltissimi generi, dal rythm and blues di Beyoncé al pop soul di Adele. A partire dai canti ripetitivi che gli schiavi cantavano nelle piantagioni e dalle loro elaborazioni gospel, si sviluppò il Blues – chiamato così per una nota leggermente diversa nella scala utilizzata che conferisce malinconia alle melodie.

Seguendo moltissimi step successivi che richiederebbero una tesina a sé stante, si formò man mano una delle perle del panorama musicale di sempre: il jazz. Facendo della Louisiana e di New Orleans la loro culla, moltissimi artisti aiutarono a decostruire non solo alcuni pregiudizi razzisti, ma anche gli schemi tipici della musica dando vita ad uno stile:
- Estremamente ritmato;
- Per antonomasia basato moltissimo sull’improvvisazione;
- Con forti elementi di richiamo delle melodie che venivano cantate nelle piantagioni.
Ad inizio ‘800 si svilupparono anche nell’arte molte rappresentazioni antirazziste. Ne fu un esempio il pittore francese Théodore Géricault, che volle rappresentare non solo le pene vissute dai migranti e dalle persone bianche, ma anche soggetti afrodiscendenti. L’esempio lampante di ciò è il ritratto chiamato “Coppia di neri” (1817), che rompeva le barriere razziste, ritraendo due innamorati dai volti preoccupati su quella che sembra essere un’isola tropicale. Dal punto di vista artistico si può notare un utilizzo abile del chiaroscuro per rendere la profondità, ma anche la marcatura dei contorni e dei tratti neri che quasi dà l’idea di un’immagine fumettistica e non neoclassica o romantica.
L’antirazzismo si sviluppò non solo nell’arte e nella musica, ma anche negli sport. Uno dei momenti più importanti in questo senso furono le olimpiadi del 1936 che si svolsero a Berlino sotto lo sguardo vigile di Hitler. Questa edizione non fu importante solo perché venne inaugurata la tradizione del percorso della fiamma olimpica, ma anche – e forse soprattutto – per l’atleta Jesse Owens. In netto contrasto con le costanti manifestazioni di rigore e superiorità nazista, il corridore americano sfidò il razzismo vincendo quattro medaglie d’oro. Questo fu il modo pacifico con cui Owens schiacciò le convinzioni razziste secondo cui le etnie bianche sarebbero geneticamente superiori a tutte le altre.

Il contrasto tra Owens e la propaganda nazista è ancora più forte se si pensa alla macchina razzista dei campi di concentramento che la Germania mise in piedi in quel periodo. Per quanto riguarda la letteratura italiana, troviamo una delle massime testimonianze delle tragedie dei campi di concentramento in “Se questo è un uomo” (1947) di Primo Levi. L’opera narra dell’esperienza dello scrittore nel campo di Monowitz, raccontando con uno stile narrativo molto asciutto tutto il processo di deportazione e vita fino alla liberazione.

Accomunati in gran parte solo dall’appartenenza a minoranze etniche e quindi da discriminazioni razziali, gli internati devono imparare da subito nuove regole e sopportare tutti i soprusi che vengono imposti loro. Levi tocca tantissime tematiche che vanno dalla quotidianità di Monowitz alle riflessioni personali sul senso della dignità umana, lasciando però che sia il lettore a formare il proprio giudizio personale su quanto accaduto.
Sappiamo che purtroppo la crudeltà dei campi di concentramento toccò anche l’Italia fascista, basati anch’essi sulle logiche del razzismo e delle discriminazioni delle minoranze. Per evitare che in ogni modo potesse ripetersi una parte tragica della storia, i padri costituenti dell’Italia Repubblicana decisero di inserire un articolo inequivocabile in Costituzione:
“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”
L’articolo 3 della Costituzione vieta dunque per legge il razzismo di sistema, rappresentando sia uno di quelli che dovrebbero essere i valori-cardine della cittadinanza che un limite invalicabile dello Stato democratico di diritto.
