Preziosa testimonianza della tragedia dei campi di concentramento nonché capolavoro letterario, “Se questo è un uomo” di Primo Levi rappresenta una vera e propria pietra miliare del ‘900. Questa mappa concettuale su “Se questo è un uomo” riassume:
Scritto tra il 1945 e il 1947, “Se questo è un uomo” di Primo Levi nasce da due necessità dell’autore: raccontare l’esperienza dei prigionieri nel campo di concentramento di Monowitz, campo-satellite di Auschwitz e rielaborare il vissuto. Il libro venne rifiutato dalla casa editrice Einaudi per due volte prima di essere pubblicato nel 1947 da Antonicelli. Iniziò ad avere però successo solo nel 1958, quando venne ripubblicato sotto Einaudi con un’introduzione anonima dalla penna di Calvino.
Nella prefazione, Levi specifica che nel racconto nulla è inventato e che nella sua sopravvivenza giocò un ruolo fondamentale il fatto di essere stato internato solo nel ’44, quando le condizioni di vita dei prigionieri erano migliorate. L’autore vuole cercare di spiegare le regole che governano la vita nel campo, tanto complesse da essere inizialmente incomprensibili.
Concentrandosi sulla psicologia e le dinamiche di gruppo, egli descrive un mondo in cui le normali regole di convivenza vengono spesso meno - nonostante ci siano isolati episodi di carità. I prigionieri si concentrano sul presente cancellando sia il futuro che il passato. Due altre tematiche ricorrenti sono la fame, pensiero costante e invadente, e l’insensatezza delle regole cui sono sottoposti.
I fatti vengono esposti solitamente in ordine cronologico, nonostante ci siano alcune eccezioni; i seguenti sottotitoli rappresentano i temi trattati nei vari capitoli dell’opera.
Levi narra il viaggio disumano (e in molti casi fatale) degli ebrei italiani portati temporaneamente a Fossoli, consapevoli che molti di loro moriranno. Una volta arrivati ad Auschwitz viene assegnato ai sopravvissuti un numero che rappresenta la loro nuova identità – nonché il momento di arrivo e la posizione nella gerarchia interna. Le nuove regole a cui sono esposti sono subito chiare:
Due ambienti specifici del campo sono l’infermeria, che rappresenta una tregua momentanea in cui l’ombra della morte è però sempre presente e il lavoro, fisicamente estenuante, in cui Levi viene aiutato dal compagno francese Resnyk.
Levi descrive le notti insonni dei prigionieri, tormentati da incubi ricorrenti – che sono nel suo caso il non essere creduto dai familiari e avere del cibo che sparisce non appena prova a mangiarlo. Parla poi di un giorno di tregua in cui c’è più cibo del solito, in cui però riemerge la tristezza altrimenti dimenticata per la fame e le percosse.
In contrasto con l’eroe di Nietzsche, Levi descrive la condizione di prigioniero come nullità che sfrutta anche episodi banali (come il cambio della biancheria) per sopravvivere. Nasce così un mercato nero che segue sue specifiche regole di borsa, come il rapporto domanda/offerta e la speculazione. I prigionieri sono dunque da subito destinati a vivere o morire, superando i concetti di bene e male:
Sfruttando la sua esperienza, Levi riesce a superare l’esame per diventare uno dei chimici del campo – guidato dalla sete di sapere. Egli descrive le impressioni sulla vita nel laboratorio, senza specificare le mansioni ma rendendo l’estraniazione causata dalla presenza di tre donne.
Due prigionieri vengono ritratti nello specifico Klaus e Alberto della Volta, alter ego solidale e ingegnoso dell’autore. La scena dell’impiccagione di un prigioniero è particolarmente cruda perché mostra l’annullamento delle emozioni degli internati anche di fronte all’urlo di “compagni, io sono l’ultimo”.
Le operazioni in Normandia e Russia ridanno speranza ai prigionieri, nonostante le frequenti retate – a cui Levi riesce a scampare nell’ottobre del 1944. L’ultimo capitolo, narrato sotto forma di diario, narra l’evacuazione del campo che condurrà alla cosiddetta marcia della morte. Levi e alcuni compagni si salvano rimanendo nel campo perché ricoverati, passando alcuni giorni aiutandosi a vicenda in attesa della liberazione da parte dell’Armata Rossa – avvenuta il 27 gennaio 1944.
Il tono riflessivo del libro porta il lettore a porsi delle domande e immedesimarsi con i prigionieri, formando però il proprio giudizio in autonomia per la razionalità della narrazione. L’antisemitismo viene inserito in un contesto più ampio di ostilità verso il diverso, presentando i campi quasi come un esperimento irripetibile sul sapere e gli esseri umani in generale.
L’esperienza dei prigionieri è simile a quella dell'oltretomba, i campi sono un luogo da cui non c’è ritorno. I riferimenti alla Divina Commedia sono diversi: