Chi sono i NEET?
Pietro Rapuano
6/12/2021
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Un dedalo di concetti
NEET, abbandono scolastico, dispersione scolastica sono etichette spesso intercambiabili nel linguaggio giornalistico; temi strettamente collegati le cui sfumature si perdono le une nelle altre mentre i concetti si mescolano, si intrecciano, si inviluppano nella terra di nessuno tra lavoro e istruzione, nelle cinghie di trasmissione inceppate che esistono (soprattutto nel nostro paese) tra l'università, la scuola e mondo del lavoro.
Questi concetti, per quanto apparentemente nebulosi, fotografano la nostra società e possono aiutarci a capire molte storture del nostro tempo: le differenze di genere presenti nel mondo del lavoro; la capacità del nostro paese di accogliere immigrazione qualificata (o di qualificare l’immigrazione non qualificata già presente); storiche e sempreverdi differenze tra il Nord e il Sud; i vincoli dell’ambiente familiare d’origine e la lontananza del nostro paese dalle potenze economiche più forti dell’Unione Europea.
Per fare ciò ricorreremo a dati e definizioni e cercheremo di capire a che punto siamo e quali strumenti abbiamo nel combattere tutti questi fenomeni.
In questo articolo vedremo:
Partiamo dalle definizioni
Per ricostruire questi fenomeni è importante partire dalla definizioni di queste etichette giornalistiche. Ci faremo aiutare in ciò dalla Treccani.
I NEET
NEET è un acronimo che sta per "Not in education, employment or training" e si riferisce a tutti i giovani che non sono né occupati, né inseriti in un percorso di istruzione o di formazione. E’ un termine contenitore che include i disoccupati in ancora in cerca di occupazione, gli inattivi (cioè le persone che non cercano e non sono disponibili al lavoro) e gli scoraggiati (cioè le persone che hanno rinunciato completamente alla possibilità di lavorare e sono usciti dal mondo del lavoro).
La fascia d’età in cui si può rientrare nella categoria dei NEET è mutevole da istituto di ricerca a istituto di ricerca. Nei diversi report vengono considerati "giovani" alternativamente tutte le persone che vanno dai 15 ai 29 anni con picchi saltuari che comprendono anche le persone fino a 34. Ma 15-29 è l’intervallo più comune e più considerato dagli studi.
Dispersione scolastica e abbandono scolastico
Dispersione scolastica e abbandono scolastico, anche se vengono spesso utilizzati come termini alternativi, vivono in un rapporto genus-species.
Per Dispersione scolastica si intende quel complesso dei fenomeni di mancata, incompleta o irregolare fruizione dei servizi di istruzione da parte di ragazzi e ragazze in età scolare.
L’abbandono, tra i fenomeni di dispersione, è quello più grave perché comporta l’interruzione definitiva di qualsiasi corsi d’istruzione. Ma nella dispersione scolastica sono riscontrabili anche fenomeni meno gravi e non definitivi come la ripetenza, cioè il ripetere gli anni scolastici una o più volte, e il ritardo, riguardante l’abbandono solo provvisorio del percorso scolastico.
Comprendiamo al meglio i dati
I dati relativi al 2020 sono stati pubblicati l’8 Ottobre 2021 dall'ISTAT nel report annuale sui livelli di istruzione, partecipazione alla formazione del 2020, nel rapporto sul benessere equo e sostenibile in Italia del 2020 il 18 Marzo 2021 e nel report "Quality of life Impact of COVID-19 on young people in the EU" dell’Eurofound del 29 Novembre 2021.
Nel 2020 dopo anni di diminuzione è risalita la percentuale di NEET nel nostro paese. La quota, a causa della pandemia, ha visto un aumento dell’1,1% a livello nazionale raggiungendo il 23,3% che corrisponde a circa 2.100.000 persone, non lontano al picco di 2.400.000 del 2014.
Il fenomeno NEET tra Nord e Sud
Il dato riguardo al fenomeno dei NEET migliora al sud contraendosi di 0,4 punti percentuali ma attestandosi ancora a circa un terzo della popolazione giovanile(32,6%). Il Centro e il Nord vedono invece peggiorare la loro situazione salendo al 19,9% e al 16,8% con un incremento medio di circa 2 punti percentuali.

La regione che risente di più del fenomeno è la Sicilia con percentuali che sfiorano il 40% nella provincia di Messina, Catania e Caltanissetta; mentre la percentuale più alta d’Italia si riscontra a Crotone dove raggiunge il drammatico picco del 48%. Le province di Pordenone, Ferrara e Sondrio si confermano estremamente virtuose con il 10,7%;11,1% e il 11,9%. Il Nord-Est si attesta, come prevedibile, come la macroregione italiana più al passo con la media europea con una percentuale di NEET che si attesta al 14,7% in Veneto, al 13,6% in Friuli Venezia Giulia, il 14,6 nella provincia autonoma di Trento e al 12,4% in quella di Bolzano.
Il dato più drammatico è l’aumento su base decennale. Tra il 2010 e il 2020 l’incidenza dei NEET è aumentata per i due terzi delle province del nostro paese.
I dati mostrano quello che, purtroppo, conosciamo già. La pandemia ha colpito ancora una volta la popolazione più giovane del nostro paese, reduce da 2 crisi economiche in meno di 15 anni. La forbice tra Nord e Sud diminuisce leggermente ma non per merito del meridione ma per un arresto brusco del settentrione più colpito nelle fasi iniziali dell’epidemia.
Il fenomeno dei NEET tra Italia e Unione Europea
Il rapporto del dato italiano rispetto al dato Europeo è impietoso. L’Italia si attesta al primo posto tra i paesi con più NEET nell’Unione dove la media è pari al 13,7%
Anche in questo caso i paesi meridionali del continente si dimostrano come i meno virtuosi: la Grecia si attesta al 18,7%, la Spagna al 17,3%, la Croazia a circa il 15% e la Bulgaria circa al 19%. Andando verso il centro del continente la Francia si attesta poco sopra alla media europea al 14%. La Polonia è, invece, poco al di sotto con il 12,9%. Brillano la Germania all’8,6%, i paesi baltici con circa il 12%,la Finlandia e la Danimarca poco sopra al 10%, la Svezia al 7,2% e l’Olanda al 5,7% con la percentuale più bassa d’Unione.
In controtendenza alla divisione Nord/Sud: Malta con circa al 10%, il Portogallo con l’11% e l’Irlanda al 14%.

Da sottolineare che la crisi economica legata alla pandemia ha portato, con la sola eccezione della Romania (-0,2) tutti i paesi ad aumentare la percentuale dei giovani NEET.
Su base decennale il trend è molto diversificato. L’Irlanda in 10 anni ha visto una riduzione del’8,2% della sua percentuale, così come la Lettonia (-7,2%), la Bulgaria (-6,6%), la Croazia (-4,5%) e la Grecia (-4,3%). solo 5 paesi hanno visto il trend peggiorare nel decennio: la Danimarca (+1,8%), il Lussemburgo (1,1%), l’Austria (+1%), l’Italia ( +0,8%) e Cipro (+0,5%)
Il fenomeno dei NEET: le differenze tra ragazzi e ragazze
Il Fenomeno dei NEET, come avrete intuito, risente moltissimo dell’ambiente socio-economico di appartenenza: la differenza tra Nord e Sud d’Italia e d’Europa ci permette di intuire quali siano le altre linee di faglia del fenomeno.
I sociologi e gli economisti di tutto il mondo disegnano queste linee lungo fattori diversissimi: in primis la residenza e la possibilità di continuare gli studi, poi il possesso o no della cittadinanza, avere alle spalle un background migratorio o meno, la provenienza socio-culturale della famiglia, l’essere affetti o meno da una malattia invalidante possono farci intuire come il fenomeno dei NEET sia saldato con tantissimi altri problemi sociali del nostro tempo.
Tra i dati che potremmo citare è particolarmente interessante quello che attiene alla questione di genere che vede le donne avere il 60% di probabilità in più di rientrare nella categoria dei NEET.
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Se consideriamo la fascia d’età che va dai 20 ai 34 (NB: stiamo considerando un campione statistico diverso dagli altri paragrafi n.d.s.), il dato di NEET nel nostro paese sale al 29,4% e si divide in base al genere attestandosi al 35% per le donne contro al 24% degli uomini.
Il dato è alto rispetto a quello europeo che si attesta al 21,5% per le donne rispetto al 13,8% per gli uomini (sempre considerando la fascia 20-34 e non quella 15-29 n.d.s.).
Il fenomeno per uomini e donne si diversifica anche col crescere dell’età. Eurostat fotografa una crescita del fenomeno con l’avanzare dell’età per le ragazze contro un fenomeno decrescente per gli uomini nelle stesse fasce d’età. Questo, per Eurostat, è spiegabile solo attraverso le pressioni sociali collegate alla maternità e alla mancanza di ammortizzatori sociali e sussidi in molti paesi europei. Proprio perché, come vedremo, le donne in Italia e in Europa, sono meno soggette ad abbandono scolastico e sono in media più scolarizzate degli uomini.
Dati sull’abbandono scolastico
Passando ad analizzare i dati sull’abbandono scolastico: 543 mila giovani hanno interrotto bruscamente i propri studi nel 2020. L’abbandono scolastico si attesta, attualmente in Italia, al 13,1% mentre il target fissato dell’Unione Europea era, per il 2020, al 10%. Questo non dovrebbe sorprenderci, come già sottolineato, molti esperti considerano l’abbandono scolastico come principale anticamera dello status di NEET.
Fa riflettere il dato relativo ai ragazzi e alle ragazze senza cittadinanza residenti nel nostro paese. Molti di loro, infatti, rinunciano allo studio prestissimo. Se la media dei ragazzi e delle ragazze italiane si attesta all’11%, la popolazione straniera residente in Italia (che comprende moltissimi ragazzi nati e cresciuti in questo paese dalla nascita n.d.s.) si attesta al 35,4%.
I dati riguardanti il genere, come detto, si dimostrano più omogenei e le percentuali non dimostrano differenze tra ragazzi e ragazze.
Purtroppo anche le condizioni socio-economiche delle famiglie di origine influenzano i dati dell’abbandono. Incidenze molto alte di abbandoni precoci si riscontrano in nuclei familiari dove il livello d’istruzione dei genitori è particolarmente basso.
Sono sempre le regioni meridionali a destare più preoccupazioni. Le quote di abbandoni tra i giovani con genitori di medio e alto livello di istruzione sono piuttosto simili al Nord e nel Mezzogiorno mentre la forbice si allarga nel caso di genitori con al massimo la licenza media. L’abbandono in queste famiglie si impenna al 25,5% al Sud contro il 18,9% al Nord.
Anche questi dati, malauguratamente, si commentano da soli. Le distanze tra nord e sud, tra italiani e stranieri e tra fasce più o meno istruite della popolazione mostrano un paese spaccato e incapace di mettere in moto ascensori sociali che possano permettere di migliorare le condizioni di vita delle nuove generazioni. La vita dei genitori, il luogo di nascita e la propria cittadinanza si ripercuotono in modo pesantissimo sull’intera generazione zeta e i dati, in peggioramento rispetto a quelli Europei, non possono farci dormire sonni tranquilli.
Uno sguardo verso laureati e diplomati
Tutti questi dati vanno messi a sistema, per avere un quadro più completo, con quelli dei laureati e dei diplomati nel nostro paese e anche in questo caso il pattern non cambia anche se ci sono minuscoli spiragli per sperare in un complessivo miglioramento.
Dal 2019 al 2020 c’è stato un incremento del 0,5% sulla percentuale di laureati nel nostro paese che porta il dato nazionale al 20,1%, ancora lontano, però, dalla media europea che si attesta nel 2020 al 32,8%.
La differenza tra uomini e donne si risolve a favore di quest’ultime che sono laureate al 23% contro il 17,2% a discapito dello svantaggio lavorativo di quest’ultime. Il divario territoriale rimane però stabile dal 2018.
Anche per i diplomati l’Italia si pone molto al di sotto della media europea con il 62,9% della sua popolazione rispetto al 79% di quella dell'Unione. Anche qui la differenza tra uomini e donne è molto ampia infatti sono diplomate il 65,1% delle donne italiane contro il 60,5% degli uomini. Anche questo dato si discosta dal livello europeo che in media non supera 1%.
Se ritorniamo al raffronto tra le persone con la cittadinanza italiana e le persone straniere residenti. Nel 2008 la differenza percentuale era inesistente e si attesta al 58% di diplomati su scala nazionale sia per i cittadini italiani sia per i residenti stranieri.
Nel 2020 solo il 46,7% degli stranieri è diplomata. Questo dimostra la poca capacità del nostro paese ad attrarre un’immigrazione qualificata e una mancanza di politiche di qualificazione sul territorio nazionale e una generalizzata incapacità di formazione di queste persone.
Quali potrebbero essere le soluzioni?
Questi dati potrebbero scoraggiare l’opinione pubblica e farci rassegnare ad un immobilismo o alla bieca accettazione del destino di questo paese. Ma nonostante gli errori commessi in passato c’è uno spazio per migliorare la situazione.
Uno strumento contro l’abbandono scolastico potrebbe essere l’orientamento per spingere i ragazzi e le ragazze a scelte consapevoli nei momenti di snodo della propria vita scolastica (come il passaggio dalle medie alle superiori). Molti esperti consigliano agli istituti di non organizzare solo gli Open-Day ma di predisporre situazioni concrete di incontro tra studenti e docenti.
Durante il percorso, poi, è consigliato offrire ai ragazzi e alle ragazze un ventaglio più ampio di possibilità e i fondi stanziati del PNRR potranno sicuramente dare alle scuole la possibilità di organizzare ulteriori esperienze formative.
Un passaggio fondamentale è la preparazione degli studenti e delle studentesse al mondo del lavoro. Naturalmente la buona volontà e la preparazione data dai docenti deve essere contemperata dalla risoluzione di molti problemi strutturali legati al mondo del lavoro e da un'offerta territoriale di occupazione che dovrà essere più capillare, soprattutto al sud Italia.
Anche la comunicazione giornalistica e dei media in generale dovrebbe aiutare. Bisogna sottolineare che il rientrare nella categoria dei NEET non rende la persona uno "svogliato", un "bamboccione" o un "nullafacente", come abbiamo visto, sono tanti i fattori che determinano un abbandono scolastico e una non ricerca di lavoro nella vita. Va messa fuori dalla porta questa retorica che non fa altro che esasperare gli animi e ridurre tutto ad uno scontro generazionale che in questo momento non serve a nessuno.
Nuove tecnologie, fondi europei e buona volontà possono migliorare la situazione, bastano obiettivi chiari e convergenze da parte di tutti all’interno della società.
Faq