Il Biennio Rosso in Italia indica un periodo che va dal 1919 al 1920 caratterizzato da una serie di lotte operaie e contadine che culminarono con l'occupazione delle fabbriche nel settembre 1920. In tale periodo si verificarono, mobilitazioni contadine, tumulti annonari, manifestazioni operaie, occupazioni di terreni e fabbriche.
In questa mappa concettuale verranno schematizzati i concetti principali:
Le origini di queste lotte operaie e contadine vanno ricercate su due fronti: da un lato si ha la crisi economica in Italia, conseguenza della guerra appena terminata, e dall’altro si ha il mito della Rivoluzione russa, che spingeva la classe operaia a voler agire come in Russia, per liberarsi.
L'economia italiana si trovava in una situazione di grave crisi iniziata durante la guerra. Infatti, già nel biennio 1917-1918 il reddito nazionale netto era sceso drasticamente. A questa situazione di disagio si aggiunse, nelprimo dopoguerra un ingentissimo aumento del debito pubblico, un forte aggravio del deficit della bilancia dei pagamenti, il crollo del valore della lira e un processo inflattivo, non accompagnato da un amento dei salari.
Il peggioramento delle condizioni di vita delle classi popolari portò quindi all’ondata di scioperi e di agitazioni alla quale non rimase estranea nessuna categoria di lavoratori, nelle città e nelle campagne, compresi ipubblici dipendenti.
La Rivoluzione russa, nel marzo 1917 aveva portato alla costituzione del Governo Provvisorio Russo che aveva subito ottenuto il sostegno morale dei socialisti italiani. Cominciò quindi un periodo di esaltazione di Lenin edella Russia, che fece molta presa nella classe operaia dell’epoca, in quanto fece nascere il desiderio di “fare come la Russia”, al fine di sbloccare la situazione italiana.
La Rivoluzione d'ottobre, quindi, rafforzò il Partito Socialista che aveva i suoi principali centri a Roma, Torino, Milano, Napoli e Firenze e di cui divenne la vera e propria avanguardia.
Nel marzo 1920 scoppiò un importante sciopero presso la FIAT di Torino, il cosiddetto sciopero delle lancette.
Lo sciopero nacque dalla richiesta degli operai di posticipare di un'ora l'ingresso al lavoro, in seguito all’entrata in vigore dell’ora legale. Tale richiesta fu negata e questo spinse la Commissione interna dell’officina Industrie Metallurgiche a spostare di un’ora indietro l’orologio di sua iniziativa. Questo fatto portò al licenziamento di tre membri e gli operai, per solidarietà, entrarono in sciopero, il 29 marzo 1920. Gli industriali risposero a loro volta con una serrata, pretendendo, che venissero sciolti i Consigli di fabbrica. Lo sciopero coinvolse circa 120.000 lavoratori di Torino e provincia. Tuttavia, né la direzione nazionale della CGDL né quella del Partito socialista diedero il loro appoggio alle rivolte. Lo sciopero terminò il 24 aprile con una netta sconfitta da parte dei lavoratori.
Il 1° maggio furono indetti cortei nelle principali città. Un nuovo sciopero porto Nitti a dimettersi il 9 giugno 1920 per lasciare il posto a Giovanni Giolitti che formò il suo quinto esecutivo.
Nel giugno 1920, scoppiò una rivolta da parta dei Bersaglieri. Questi ultimi infatti ammutinarono, in quanto non volevano partire per l'Albania, dove era in corso un'occupazione militare da parte dal governo Giolitti. Fu una vera ribellione armata. Da Ancona la rivolta divampò in altre zone d’Italia.
Quando il re ordinò l'invio delle guardie per ristabilire l'ordine, i ferrovieri aiutarono i rivoltosi, scioperando e impedendo che i militi potessero arrivare ad Ancora. Il moto fu poi sedato grazie all'intervento della marina militare.
Il 18 giugno 1920 la FIOM(Federazione Impiegati Operai Metallurgici) presentò alla Federazione degli industriali meccanici e metallurgici delle richieste. Si richiedeva incrementi salariali per compensare l’aumento del costo della vita e il miglioramento delle condizioni di lavoro. Gli industriali non vollero cedere a queste richieste. La FIOM procedette quindi con ostruzionismo, secondo il quale gli operai avrebbero dovuto ridurre la produzione, rallentando l'attività.
Fra l'1 e il 4 settembre 1920 quasi tutte le fabbriche metallurgiche in Italia furono occupate. Gli operai coinvolti furono più di 400.000 e si estese ad alcuni stabilimenti non metallurgici.
L'occupazione delle fabbriche avvenne ovunque quasi pacificamente. Infatti ,le forze dell’ordine avevano ricevuto il comando, dal governo Giolitti, di non tentare azioni di forza ma di sorvegliare dall’esterno gli stabilimenti senza intervenire.
Si arrivò ad un accordo siglato a Roma il 19 settembre 1920, che fu per gli operai, sul piano sindacale un buon successo in quanto stabilì significativi aumenti salariali e miglioramenti normativi in materia di ferie, di licenziamenti. Inoltre, la giornata lavorativa passò da 10-11 ore a 8 ore
La vicenda dell'occupazione delle fabbriche portò rabbia e frustrazione negli industriali che avevano dovuto alla fine accettare le richieste sindacali operaie. Dall’altra parte gli operai subirono un duro colpo psicologico e ne uscirono scoraggiati in quanto non avevano ottenuto alcun reale avanzamento politico. Cominciò quindi un periodo di crisi il Partito socialista.
Verso la fine del 1920 il movimento fascista, che fino ad allora aveva avuto un ruolo marginale, iniziò la sua ascesa politica.